Nel 2013 il CIO ha rifiutato l’inserimento del karate alle olimpiadi del 2020, un’arte marziale molto popolare tra gli anni ’70 e ’80. Da molti anni, in Italia, la pratica di questa disciplina è diminuita drasticamente. Questa esclusione ne è la condanna definitiva all’anonimato? Cosa ha portato il karate alla fama mondiale, e perché ora invece rischia di sparire? Intervistiamo il Maestro Silvio Campari, direttore tecnico dello Yama Karate Club, una palestra molto affollata rispetto ad altre.
Il karate è un’arte marziale giapponese sviluppatasi nelle isole Ryu-Kyu all’inizio del secolo scorso. “Karate” in giapponese significa “mani e piedi come spade”, infatti viene praticato a piedi scalzi, senza protezioni e senza l’utilizzo di armi. E’ stato diffuso in Italia dal Maestro Hiroshi Shirai, arrivato a Milano nel 1965. Questa disciplina ha da sempre conosciuto una grande frammentazione a livello federale, attualmente la federazione mondiale più rappresentativa de “l’arte della mano nuda” è la World Karate Federation, considerata da molti un’organizzazione che promuove un karate eccessivamente sportivo e lontano dalla tradizione. La WKF ha tentato più volte di far inserire il karate alle olimpiadi, le ultime due occasioni sono state nel 2009 e la più recente nel 2013. Entrambi tentativi sono stati vani.