Il termoutilizzatore di Brescia è attivo dal 1998 e ha come compito quello di recuperare energia termica ed elettrica dai rifiuti non utilmente riciclabili come materiali. Il termoutilizzatore, assieme al teleriscaldamento, ha consentito a Brescia di raggiungere l’obiettivo di diminuire le emissioni di anidride carbonica. Ma a quale prezzo? E’ giusto che il termoutilizzatore costruito a Brescia debba bruciare non solo i rifiuti della città ma anche quelli provenienti dal resto d’Italia? Permangono cause d’inquinamento preoccupanti per la salute dei cittadini?
L’impianto bresciano può bruciare mediamente circa 750 mila tonnellate di rifiuti all’anno dalle quali è possibile ricavare annualmente quasi 600 milioni di chilowattora di elettricità (pari al fabbisogno annuo di 200 mila famiglie) e oltre 800 milioni di chilowattora di calore (pari al fabbisogno per teleriscaldamento di oltre 60 mila appartamenti), con un risparmio superiore a 150 mila tonnellate di petrolio, evitando l’emissione in atmosfera di più di 400 mila tonnellate di CO2, corrispondenti al risultato ottenibile con la riforestazione di oltre 15 mila ettari di superficie circa due volte l’estensione del Comune di Brescia.
Tuttavia il termoutilizzatore non si limita a bruciare i rifiuti di Brescia e provincia, anzi, Napoli, Salerno, Roma, Latina, Frosinone, Lecce, Taranto, pure San Marino e altre 29 province del Centro e del Nord Italia si appoggiano a lui. Questa è la provenienza dei rifiuti speciali inceneriti nel termoutilizzatore di Brescia. E non si tratta di qualche camion, bensì di quasi 260 mila tonnellate l’anno.
Tutto questo sovraccarico di rifiuti da bruciare causa però un sensibile aumento dell’inquinamento del suolo e dell’aria come accaduto nell’aprile del 2014, quando un malfunzionamento dell’impianto ha causato un’ingente fuoriuscita di diossina, ovvero di sostanze tossiche e cancerogene. E infatti, a Brescia ci si ammala di tumore più che nel resto d’Italia. E c’è una correlazione diretta tra i Pcb e le diossine, i veleni dell’industria chimica che hanno devastato il territorio, e l’aumento delle neoplasie. Secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, infatti, si osservano degli eccessi (uomini +10%, donne + 14%) in tutti i tumori, tuttavia l’Asl di Brescia ha sempre negato il nesso tra PCB e tumori. Brescia risulta dunque essere tra le cinque città più inquinate d’Italia ed è anche la città con livelli di PM10 più elevati della Lombardia, perfino della stessa Milano, e quindi, si può dire, d’Europa. Mille ragioni dunque perché a Brescia si evitasse la costruzione di un impianto a così forte impatto ambientale.