E’ in atto in questi giorni una dura protesta religiosa in India che sta dividendo il paese intero. Tutto è iniziato quando lo scorso martedì all’alba due donne coperte da burqua sono entrate nel tempio del dio Ayyappa, nella regione del Kerala. Le due si sono introdotte attraverso un ingresso di servizio, violando così il divieto di accesso che comprende le donne in età “fertile”, dai 10 ai 50 anni. Dopo pochi minuti le due sono state scoperte e cacciate, evitando il linciaggio grazie all’intervento di poliziotti in borghese, a cui le donne avevano chiesto protezione.
La reazione dei conservatori è stata immediata: il Kerala è stata invasa da proteste e contestazioni, sedate dalle forze dell’ordine con gas lacrimogeni e getti d’acqua. Ad oggi si conta una vittima e oltre venti feriti. Lo stesso premier Indiano Narendra Modi, si è schierato con i conservatori, valutando il gesto delle due come una mossa puramente politica. I radicali accusano le istituzioni di non difendere le tradizione religiose, i progressisti rivendicano il diritto di preghiera.
Il divieto di accesso al tempio per le donne è stato annullato lo scorso Settembre legalmente, ma la questione non è mai stata digerita dagli induisti più integralisti, che hanno letto l’atto delle due donne come una vera e propria bestemmia. Del resto, come ha sottolineato il premier Modi, il divieto non sarebbe un elemento sessista o discriminatorio dell’Induismo, dato che vi sono molti templi inaccessibili agli uomini.
Le due donne sono protette dalle forze dell’ordine e dal governo del Kerala, regione nel sudovest dell’India, che attraverso il suo primo ministro ha espresso solidarietà e approvazione per il loro gesto. Contro la dura protesta religiosa dei tradizionalisti si sono mobilitate oltre tre milioni di fedeli Induiste, che hanno organizzato una catena umana, ribattezzata dai media “il muro delle donne“, lunga oltre 680 chilometri, come da Genova e Napoli per intenderci, un gesto pacifico e civilissimo per rivendicare il loro diritto di preghiera a fronte della violenza dei gruppi tradizionalisti.
di Pietro Demartini
