Intervista alla traduttrice

 

Intervista alla traduttrice Elisabetta Svaluto Moreolo


 

1. Com’è nato e come si è successivamente consolidato il legame con la casa editrice Iperborea per la traduzione delle opere di Kader Abdolah?

 Il rapporto con la casa editrice Iperborea nacque da una mia richiesta di colloquio con Emilia Lodigiani, in un momento in cui mi trovavo a un bivio della mia vita professionale: proseguire come traduttrice letteraria o tentare di misurarmi come redattrice? Ricordo che ci tenevo ad arrivare in orario, con un mazzo di fiori e presi perfino un taxi… sbagliai indirizzo, arrivai in ritardo, ma almeno con i fiori! Emilia Lodigiani mi ascoltò e mi propose di diventare lettrice per Iperborea. Era l’epoca dei favolosi “Venerdì di Iperborea”, quando tutti i consulenti si ritrovavano seduti attorno a un grande tavolo ed esponevano la loro scheda di lettura. Capitava che fossimo in più d’uno a leggere lo stesso libro, chi in lingua originale, chi in traduzione. Nel caso del Viaggio delle Bottiglie vuote avevamo letto il romanzo in due: Miriam Lanzani, in edizione francese, ed io, in nederlandese… Esponemmo a turno le nostre impressioni, mentre l’Editore prendeva diligentemente appunti – diligentemente e con umiltà, virtù indispensabile, ho imparato negli anni, per chi maneggia romanzi  e quindi distillati dell’anima altrui… laddove Miriam era entusiasta, io avevo le mie riserve: a posteriori ho capito che ero troppo ancorata a un’idea di romanzo fuorviante per capire il valore e la promessa racchiusa in quel testo. Per farla breve: dai nostri resoconti partecipi, l’Editore trasse conferma dell’intuizione che l’aveva portata sulle tracce delle Bottiglie e così ha avuto inizio una storia durata finora per una decina libri…

Il consolidamento è venuto da sé, il che non significa a costo zero: è stato un lento e paziente processo di conoscenza tra Editore e Traduttrice, di proposte di traduzione e riflessioni sugli interventi dell’Editore, di confronti con traduzioni in altre lingue europee, di ricerche, studi, scambi di parere, presentazioni… Lo definirei un apprendistato artigianale e dell’anima.

2. Conosceva già l’autore quando Iperborea le propose la traduzione della prima opera, o fu attraverso tale proposta che venne a contatto per la prima volta con la scrittura di Kader Abdolah?

 Come ho spiegato prima, conobbi Abdolah attraverso il suo primo romanzo, che mi fu proposto in lettura…

3. Ha instaurato un contatto diretto con l’autore, consultandolo in caso di difficoltà?

 Sì, fin dall’inizio. Fu Emilia Lodigiani a consigliarmi di chiedere a lui di sciogliere i miei dubbi. Allora per me l’autore era una figura sacra e intoccabile, mai avrei osato interfacciarmi con lui. Inoltre, pensavo che fosse di primaria importanza far parlare il testo. Capii ben presto che mi sbagliavo: conoscere di persona lo scrittore e, nel mio caso, fargli da interprete alle presentazioni dei romanzi in Italia, permette di ampliare il raggio e la profondità della conoscenza dell’uomo e della sua narrativa. Potrei dire che permette di avvicinarsi a una “temperatura” più autentica dell’opera.

4. Quanto tempo ha impiegato a tradurre il primo libro, Il viaggio delle bottiglie vuote? Come si è svolta la ricerca del materiale necessario ai fini della traduzione e con quale strategia decise di affrontarla?

 Nel caso della traduzione il tempo è, per me, nel bene e nel male, una variabile indipendente e quindi potrei rispondere: il tempo necessario. Per il resto, di materiale su Kader Abdolah non c’era molto, all’epoca, e non erano ancora gli anni di un accesso immediato a internet. Perciò mi rifeci a un breve saggio che trovai sul Kritisch Lexicon, una sorta di Bibbia della Letteratura in lingua nederlandese. Un testo scientifico e rigoroso… E alle recensioni che avevano accompagnato l’uscita del romanzo in Olanda. La strategia me la indicò Emilia Lodigiani: “traduci quello che c’è scritto.” Fu lei a insegnarmi a “tradurre la lettera” e a temperare la mia tendenza a interpretare o a ricondurre ogni testo a un canone predefinito…

5. È più difficoltoso tradurre un autore che non scrive nella sua lingua madre?

Sicuramente sì. O meglio, è più complesso e delicato; nel caso di Abdolah devo sempre tenere conto di più elementi: del fatto che il nederlandese è per lui “la lingua della libertà”, ma anche una lingua che ha imparato da autodidatta prima di studiarla a livello accademico; né posso trascurare il fatto che si rivolge in primis a un pubblico nederlandofono e, di conseguenza, anche l’effetto straniante e seducente che la sua lingua suscita nei suoi lettori più diretti… E devo fare attenzione al tono, alle interferenze della sua cultura, alla sua esigenza-volontà di testimoniare e quindi al peso specifico, etico, politico e culturale delle sue parole, che a loro volta sono mediante da una cultura terza…

6. Ha mai provato un senso di disorientamento di fronte a questi testi scritti in lingua nederlandese ma impregnati della cultura e della storia persiana?

 Di certo e parecchio: tradurre Kader Abdolah ha richiesto uno sguardo consapevole alla cultura e alla letteratura persiana classica, in particolare alla poesia, da una parte, e alla cultura nederlandofona dall’altra. In questo ho avuto il privilegio di poter contare, nelle mie riflessioni sull’approccio ai testi, sulla competenza in materia di lingua e letteratura persiana di Natalia Tornesello, del Dipartimento di Studi Asiatici dell’Università degli Studi di Napoli, “L’Orientale, e di Joan Van der Linden per la cultura e la lingua nederlandesi… E’ uno dei privilegi del traduttore: venire a contatto con culture e sensibilità altre. Ecco, l’elemento dell’alterità è stato sicuramente stimolo, bussola e motivo di disorientamento nella traduzione dei romanzi di Abdolah… e senza dubbio fonte di un tesoro ricchissimo di scoperte.

7. Quale libro ha tradotto con più fatica? Quale l’ha più entusiasmata?

 Più che di fatica, parlerei di impegno e responsabilità: su questo fronte direi che è stato più arduo tradurre Calila e Dimna, Il messaggero e Il re, per le implicazioni culturali, religiose, storiche e politiche. Ma quando si traducono testimonianze di una cultura “altra”, e soprattutto brani di vissuto altrui, l’impegno e il procedere in punta di piedi sono condizioni essenziali, come l’ascolto “della voce del testo”: del suo ritmo, della sua musicalità, dei suoi scarti, delle sue coloriture, delle sue “parole-chiave”…

Un libro che mi ha entusiasmato, oltre a Scrittura cuneiforme, forse il suo romanzo più amato, è un testo che ha avuto poca risonanza: Ritratti e un vecchio sogno, in cui, secondo me, Abdolah esprime quel gusto per l’immaginazione, anche visionaria, presente in nuce nel Viaggio delle bottiglie vuote, oltre dar voce alla sua passione per la poesia, peraltro una costante della sua scrittura …

8. Nelle opere in italiano si riscontrano diversi termini o espressioni lasciate in fārsì. Si tratta di una scelta sua o dell’autore? A quale fonte ha fatto riferimento per scrivere i glossari?

 La scelta di lasciare espressioni fārsì riflette quella dell’autore, nel rispetto della sua prospettiva e con l’intento di traghettare quanto più possibile della sua cultura. Non è un caso se, con i suoi libri, Abdolah si è fatto costantemente ponte tra culture e popoli. Nella maggior dei casi i glossari erano già contemplati nella stesura originale, talvolta sono stati integrati per facilitare l’accesso al testo, ma sempre sulla base di consulenze incrociate o di citazioni da altre opere.

9. Qual è il personaggio con cui ha empatizzato maggiormente? E l’aspetto dell’Iran che più l’ha affascinata?

 L’empatia maggiore è scattata, e poi cresciuta nel tempo, con la voce dell’autore. Poi è stato un amore che, di volta in volta, ha riguardato, per riassumere a grandi linee, i protagonisti dei romanzi – Bolfazl, Ismail, Aga Jan, lo stesso Naser, ma soprattutto gli anti-eroi – Aga Akbar, Mirza Kabir e, da ultimo, Memed, anche lui un immigrato da quell’Oriente che resta culla della civiltà. Memed è il dolente protagonista dell’ultimo poderoso romanzo corale di Kader Abdolah, ora in corso di traduzione, che, già nel titolo, Un pappagallo volò sull’Ijssel,  evoca alcuni dei suoi temi ricorrenti:  poesia, immaginazione, mito, amore per la natura. E poi ci sono il legame indissolubile tra Storia e invenzione, il culto della memoria, la passione per le Belle Lettere, di qualunque cultura siano espressione: tutti temi mediati, come sempre, da uno sguardo attento e carico di pietas per la condizione umana, il suo condensato di mistero, nostalgie, gioie, sfide e dolore.

Per quanto riguarda l’Iran, o meglio la Persia, come preferisce chiamarla l’autore, i motivi di fascinazione sono molteplici: la ricchezza e la profondità di una cultura millenaria e sempre viva, con la sua preziosa saggezza e forza morale, e le contraddizioni di un Paese in dialogo funambolico tra presente e passato, tra tradizione e modernità portatore di un’identità stupefacente e forse troppo poco conosciuta.”

10. Quali sono le analogie e le differenze che ha riscontrato tra le opere di Abdolah e quelle di altri autori olandesi?

 Credo che la voce di Abdolah sia un unicum nel suo genere e che, per la mia esperienza, sarebbe quanto meno azzardato tentare un confronto tra lui ed altri autori di lingua nederlandese. Noto soltanto che Abdolah ha avvertito una risonanza con diversi poeti e scrittori del suo paese d’adozione, oltre che fiamminghi, tra i quali Multatuli, e che, al di là del dato biografico, i suoi temi hanno una portata e un’urgenza sospesa tra l’universalità e la Storia: anche in questo credo stia la sua grandezza.

11. È in grado di spiegare le ragioni che hanno portato Abdolah e le sue opere a riscuotere così tanto successo sia nei Paesi Bassi sia in Italia?

Anche in questo caso penso che la risposta sarebbe meritevole di una riflessione più ampia, articolata e degna di miglior penna,  per cui mi limito a citare le parole di Jan Paul Bresser, critico letterario del settimanale olandese Elsevier. Individuando in Abdolah una sorta di nave ammiraglia all’interno della flotta di scrittori meticci, Bresser afferma: “[Questi autori] arricchiscono la nostra lingua con uno sguardo e un modo di scrivere nuovi.” Ecco, mi sembra che questo elemento di novità dirompente, e di inattesa freschezza e lucidità di sguardo, unito ai temi della sua prosa – temi  privati ed eterni, colti e di cogente attualità – e anche, perché no, alla godibilità di una scrittura immediata e a un certo esotismo, possano fornire una griglia interpretativa per spiegare il successo dell’autore: un successo che Kader Abdolah ha raggiunto non solo in ambito nederlandofono, italiano, ma internazionale, come attesta il fatto che i suoi libri sono stati tradotti in 21 lingue, tra cui l’arabo e il cinese.

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