L’arte conviviale di Mesopotamia

A Milano, uno studio di professionisti di giorno, la sera si trasforma in  un luogo di confronto sull’arte contemporanea

Una volta al mese, in mezzo ai due Navigli, capita che ci si trovi a parlare di arte contemporanea. Mesopotamia sono spot, momenti di approfondimento, aperti a chiunque, insieme ad artisti, curatori e addetti ai lavori. Gli ideatori sono un fotografo e un grafico: Alessandro Nassiri Tabibzadeh e Matteo Zarbo. Di giorno condividono uno studio in via Gola con altri tre professionisti della comunicazione. La sera prestabilita lo spazio si trasforma per accogliere impressioni, spunti e suggestioni sul magma informe che ribolle nel mondo dell’arte cittadino e non solo.

In vino veritas. Ci sono pubblico e interlocutori, eppure il risultato non è un incontro frontale. Sarà per il bicchiere di vino che ti accoglie all’ingresso o per l’atmosfera familiare dello studio, di fatto chiunque partecipi a Mesopotamia apprezza l’aspetto informale che ti fa sciogliere la lingua e viaggiare i pensieri. Non sono molte le occasioni che artisti o curatori hanno per parlare dei retroscena del loro lavoro. E altrettanto poche quelle che il pubblico ha di tastare con mano i pensieri di chi, solitamente, non è abituato a esporre la propria faccia. Mesopotamia è uno di questi. Chi non è dell’ambiente potrebbe provare un’iniziale sensazione di estraniamento. Con il passare dei minuti la curiosità aumenta e alla fine è facile lasciarsi trasportare nella conversazione e scoprire che la storia dell’arte non finisce con il Futurismo.

La rete è vincente. I tagli trasversali imposti dal Fiscal Compact stanno investendo tutti i settori della vita delle persone. Uno dei più bistrattati rimane quello della cultura. A quanto pare, però, al venir meno degli investimenti da parte delle istituzioni non è corrisposta un’altrattanta diminuzione dell’impegno da parte di giovani e appassionati che hanno fatto della cultura la base del loro sostentamento. Mesopotamia ne è un esempio lampante. Uno spazio multifunzionale, una rete di conoscenze coltivata nel tempo e ravvivata dall’utilizzo dei social media e la necessità di continuare a parlare e pensare intorno al mondo dell’arte. Sono questi i punti di forza di un progetto che ha costi pari allo zero e un ritorno in termini di stimoli per i più o meno interessati.

 

Sopravvive ai Lager con il calcio

E’ la storia di Ferdinando Valletti, operaio dell’Alfa Romeo e calciatore del Milan, che nel marzo del 1944 venne arrestato e successivamente deportato nei campi di sterminio tedeschi.  

VALLETTI GIUSTA

Nel marzo del 1944 gli operai dell’Alfa Romeo del Portello di Milano diedero vita ad uno sciopero contro il regime nazi-fascista che pagarono con l’arresto e la conseguente deportazione nei campi di sterminio. Tra questi c’era Ferdinando Valletti, all’epoca calciatore del Milan, che trascorse un anno nei Lager di Mauthausen e Gusen dai quali tornò vivo.

LA STORIA DI FERDINANDO VALLETTI – Era il marzo del 1944 quando diversi operai dell’Alfa Romeo del Portello di Milano, furono arrestati e successivamente deportati nei campi di concentramento tedeschi a fronte della loro resistenza al regime. Tra questi c’era Ferdinando Valletti, calciatore del Milan (squadra con cui ha giocato nelle stagioni 1942/1943,1943/1944) al quale non fu perdonato di aver distribuito volantini per conto del movimento operaio in agitazione. Fu prelevato e trasportato prima nel campo di concentramento di Mauthausen, poi in quello di Gusen dove si ridurrà a pesare appena 40 chili. Nonostante le condizioni di vita all’interno dei Lager fossero estreme, Valletti si salvò e ci riuscì grazie al calcio. Le milizie di vigilanza nazista organizzavano spesso partite di pallone tra soldati e a volte anche con prigionieri. Proprio in una di queste occasioni, il lavoratore dell’Alfa ebbe l’opportunità di sostituire un giocatore della formazione delle SS e, grazie alla sua prestazione, si guadagnò così la possibilità di lavorare come addetto alla distribuzione di bucce di patate ai prigionieri del campo. Ferdinando Valletti, una volta tornato a casa, ha continuato a lavorare al Portello ed è morto a Milano nel 2007 dopo una lunga malattia.

L’INIZIATIVA – La zona del Portello di Milano (una volta sede dello stabilimento cittadino dell’Alfa Romeo) diventerà un luogo della memoria e sarà dedicato agli operai (tra cui Ferdinando Valletti) della nota casa automobilistica italiana che durante la II Guerra Mondiale vennero deportati nei campi di sterminio nazisti a seguito del loro impegno sindacale contro le restrizioni imposte dal regime. Lo Spi (Sindacato Pensionati Italiani) con l’appoggio dell’Anpi, ha portato avanti un progetto, chiamato ‘Percorso alla memoria del lavoro’, che è stato avallato dal Comune ed è tuttora in fase di realizzazione.

Nei lager per aver scioperato

Il comune di Milano ricorda gli operai dell’Alfa deportati nel 1944

http://youtu.be/85wGhHqhbDI

Era il 1 marzo del 1944 e gli operai del nord, stanchi e provati dalla guerra, indissero uno sciopero generale di protesta contro il regime fascista. Mentre era in corso l’offensiva tedesco-fascista contro le formazioni partigiane, il Comitato di agitazione del Piemonte, Lombardia e Liguria aveva proclamò lo sciopero generale in tutta l’Italia occupata. Migliaia di lavoratori delle fabbriche del triangolo industriale scesero in piazza, forti della ritirata fascista, per rivendicare i propri diritti e il proprio disappunto. Nei giorni che seguirono la mobilitazione, centinaia di scioperanti vennero arrestati dalle SS e dalla polizia fascista, reclusi e, alcuni di loro, deportati presso i campi di concentramento nazisti di Germania e Polonia. Tra questi una quarantina di operai dell’Alfa Romeo, azienda automobilistica simbolo di Milano e del Portello, deportati a Mauthausen/Gusen. Soltanto cinque di loro riuscirono a ritornare a casa.

Milano sta cambiando la sua fisionomia ma vuole ricordare quegli operai che nel marzo 1944 pagarono con la vita il proprio impegno sindacale. Il Portello non vuole dimenticare. Lo SPI/CGIL, Sindacato Pensionati Italiani, infatti, ha proposto al Comune di Milano l’intitolazione di alcune vie che compongono il nuovo complesso residenziale e commerciale sorto negli ultimi anni al posto della fabbrica, alla memoria di persone, luoghi e momenti storici determinanti per il Portello. La proposta prevede, inoltre, la creazione di un “Percorso del Lavoro”, attraverso il posizionamento di insegne e ceppi che permettano di ripercorrere la storia dei luoghi e dei fatti, e il posizionamento del monumento “L’uomo Libero” ideato dall’artista scultore milanese Mario Robaudi in cima alla nuova “collina verde”del Portello Nord.

Volontari della politica a Milano

Elezioni 2013: la militanza nei banchetti per la prossima tornata elettorale

Ultimi giorni di campagna elettorale. Nelle piazze e nei mercati di Milano e provincia spuntano come funghi gazebo corredati di bandiere e simboli. La gente comune si riunisce per far propaganda a favore del proprio schieramento politico sia per elezioni politiche che per quelle della Regione Lombardia. Sono prevalentemente persone dai 35 ai 60 anni a tenere viva la presenza nei banchetti. Ma anche molti pensionati che, sia perché attivi in passato, sia per senso di appartenenza, sia perché hanno più tempo, dedicano parte della loro giornata alla vita politica. Pochi invece i giovani che, come ha detto una signora ai nostri microfoni, “abbassano la testa” quando passano davanti agli stand improvvisati.


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Il ’44 e gli operai alfisti deportati

http://www.youtube.com/watch?v=l5Vli8jsSKI

Lo SPI di Portello e il Comune di Milano ricordano gli operai alfisti che, nel 1944, furono deportati nei campi di sterminio nazisti a causa degli scioperi e delle rivolte scoppiate in tutta l’Italia del Nord.

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Mesopotamia milanese

La doppia vita di un ricercato studio di comunicazione meneghino che si trasforma in conviviale ritrovo per appassionati e professionisti dell’Arte

E’ un piccolo e curato angolo della Milano di una volta quello che accoglie, fra i due navigli meneghini, i visitatori giunti alla ricerca di Mesopotamia, un semplice ufficio di cinque professionisti della comunicazione che, con cadenza mansile, da poco meno di un anno, per eventi specifici, alla presenza di ospiti d’eccezione, prende la forma di un ritrovo conviviale per quanti siano interessati alle ultime novità dell’arte contemporanea.

Molteplici gli appuntamenti che si sono susseguiti nel corso della breve vita di questo spazio giovane e innovativo, ognuno che propone uno sguardo specifico sul complesso panorama dell’arte dei nostri giorni e su i suoi protagonisti: da Anna de Manincor e Martina Angelotti con le loro video-indagini sulle metropoli contemporanee a Cristina Baldacci e Marcella Vanzo e i loro dialoghi su arte e critica, fino all’ultimo evento realizzato in questi spazi, ovvero la discussione con Roberto Pinto sull’utilità della scrittura, dall’irriverente titolo di “A cosa serve scrivere?”

Ma qual’è il fulcro di quest’originale iniziativa, e quali i suoi obiettivi?
Ce lo spiega con semplicità Alessandro Nassiri Tabibzabeh, co-fondatore assieme a Matteo Zarbo di questo esperimento, quando ci illustra che “è un momento di approfondimento sull’arte contemporanea, ed è prevalentemente uno spazio temporaneo“, mentre il suo collega punta il dito sulla curiosità come motore principale che ha spinto i due creativi a cimentarsi in quest’impresa: “Volevamo avere un luogo dove poter ospitare artisti, dei curatori, degli storici, degli esperti d’arte che parlassero di quello che sta succedendo.