Intervista all’editore

Un invito alla “casa” italiana di Kader Abdolah

Ci troviamo a Milano, in una zona intrisa di storia; via Palestro, che si affaccia sul parco Indro Montanelli e accoglie il patrimonio artistico del Padiglione di Arte Contemporanea e della Galleria di Arte Moderna. Ma non solo. È proprio qui che si trova la sede di Iperborea. Kader Abdolah non poteva sperare che le sue opere venissero ospitate in una dimora migliore. Una volta entrati nel palazzo d’epoca, scopriamo la totale coerenza degli ambienti interni, rigorosamente arredati con mobili Ikea, con il seme da cui sbocciò la casa editrice: l’amore per la letteratura nordica, e la volontà di tramandarne la tradizione attraverso la traduzione. Qui abbiamo incontrato la fondatrice, Emilia Lodigiani, che ci ha generosamente raccontato la sua esperienza, aiutandoci a ripercorrere la storia editoriale italiana dello scrittore iraniano esule in Olanda.

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    1. Come si è instaurato il primo contatto con Kader Abdolah e come nacque l’idea di tradurre le sue opere?
    2. E la scelta del traduttore, come avviene?
    3. Ci sono future pubblicazioni in programma?
    4. Da cosa è attratto il pubblico italiano?
    5. Letteratura classica, contemporanea, e multiculturale. Avete individuato un esponente di quest’ultimo genere in K. Abdolah. Perché non altri autori?
    6. Altri autori e opere che vorreste inserire in catalogo?
    7. Il primo approccio in assoluto alla letteratura olandese?

1. Come si è instaurato il primo contatto con Kader Abdolah e come nacque l’idea di tradurre le sue opere?

Il primo impatto con tutti i nostri scrittori avviene sempre attraverso i loro libri. Non mi è mai capitato di incontrare un autore prima della decisione di pubblicare le sue opere.

L’incontro con il suo primo libro, Il viaggio delle bottiglie vuote, fu a Francoforte nel 1996, quando l’editore me  ne parlò. Mi è sembrata sin da subito una storia molto particolare, perché era ancora l’epoca in cui non c’era così tanta letteratura di immigrati. Saltava immediatamente all’occhio la capacità dell’autore di scrivere e riportare un’esperienza così forte come quella di provenire dal paese più represso (parliamo infatti dell’epoca di Khomeini) e arrivare nel paese più libero d’Europa, l’Olanda. Incarnava quindi tutti i problemi dell’immigrato, che si trova costretto a imparare una lingua che non ha niente a che vedere con quella del paese d’origine, ed è capace di farla sua. Inoltre, man mano che la sua esperienza della realtà diventava più vasta, nel libro aumentavano il numero di vocaboli che conosceva e la sua sensibilità linguistica. Mi piaceva quindi moltissimo questa totale coerenza tra tema e lingua. In più, a me interessano sempre problemi sociali e politici, quindi quei romanzi cosiddetti impegnati. Avevo chiesto in lettura Il viaggio delle bottiglie vuote, affidandolo al lettore di cui mi fido di più, che mi disse «Bello, assolutamente da fare».

Ci siamo in verità conosciuti più avanti, io e Kader, con la pubblicazione del secondo libro, Scrittura cuneiforme. Il primo libro in genere lo facciamo leggere da più persone, tranne in casi come questo, perché se già so che il tema mi interessa e la storia mi piace, lo do da leggere a un lettore fidato, capace di dirmi se il libro merita o meno. Se invece siamo più dubbiosi riguardo la storia, i temi, e il nostro lettore fidato non è così convinto, lo facciamo leggere anche a qualcun altro. Nel caso di Kader Abdolah, con Il viaggio delle bottiglie vuote, non ci fu alcuna esitazione. Con Scrittura cuneiforme ancora meno. Ritengo che sia uno dei più bei libri che abbiamo pubblicato per via della storia, dei contenuti, del rapporto padre-figlio così intenso, completo, affettuoso. Emerge il tema del rimpianto, della colpa, di quell’apprendistato che è la vita, che ti porta a capire cosa hai avuto e cosa hai dato. Resta quindi il mio preferito. Quasi tutti però amano di più La casa della Moschea, che è quello che per ora ha avuto più successo. Scrittura cuneiforme l’ha letto solo la traduttrice del primo, Elisabetta Svaluto, che si era espressa positivamente al riguardo. E allora non abbiamo avuto più incertezze.

A quell’epoca Kader venne a Torino, e fu lì che lo incontrai per la prima volta, ora mi è tornato in mente. L’Olanda era Guest of Honour alla fiera del libro di Torino. Ci fu sin dall’inizio affetto reciproco e simpatia. È vero, lui è molto teatrale, quando parla e tiene un discorso, è come se salisse su un pulpito. Rievoca la figura degli imam predicatori; se qualcuno ne ha esperienza se ne accorge. Io sono reduce da Istanbul dove ho assistito alla predica di un imam e mi sono detta: «Sembra Kader Abdolah!». Kader usa infatti moltissimo la retorica degli imam, oltre che le tecniche dei cantastorie locali: ripetizione, ritmo, interruzione con suspense della storia proprio nei punti più catartici, con lunghe digressioni nel momento in cui dovrebbe succedere qualcosa di nuovo… Ed è infatti parte del suo fascino: usare, in una lingua piuttosto aspra e secca come l’olandese, questa tecnica che la smuove e ammorbidisce.

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2. E la scelta del traduttore, come avviene?

Il numero di traduttori dall’olandese sta aumentando, ma all’epoca ne avevamo tre in totale. Avevo dato da leggere Scrittura cuneiforme a Elisabetta Svaluto, che aveva già fatto un ottimo lavoro con il primo. Di fatti ha questo autore nelle sue corde. Quando un libro viene dato in lettura a un traduttore, che risponde con un giudizio entusiastico, si tende ad affidargli l’incarico di tradurlo. C’è stata una forte continuità; Elisabetta è decisamente la traduttrice che lo conosce meglio, perché non c’è modo migliore per conoscere un autore, se non quello di tradurlo. Nel periodo in cui uno traduce, se è bravo, è dentro alla testa dello scrittore. Per questo, secondo me, è un mestiere meraviglioso: si viaggia nella testa di qualcuno che ha una mente molto superiore della tua.

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3. Ci sono future pubblicazioni in programma?

Assolutamente, noi aspettiamo sempre con ansia che pubblichi un nuovo romanzo. E lo sta già scrivendo. Lui è un autore che in genere non attraversa crisi di ispirazione, non ne ha. La sua vita l’ha usata moltissimo come fonte da cui attingere spunti, ha avuto un trascorso ricco di esperienze fuori dal comune, e poi ha davvero fatto suo il ruolo di ponte tra due culture, come del resto si definisce lui stesso. Quindi, all’utilizzo della tradizione e della storia dell’Iran (da noi poco conosciuta, ma in realtà fonte ricchissima per uno scrittore) si aggiunge la provenienza da una famiglia che ha avuto una funzione importante a livello storico. Kader ha quindi ereditato da quest’ultima un ricco patrimonio, che riesce a unire all’aspetto autobiografico, anche questo molto sentito. Trae spesso ispirazione dalla sua formazione intellettuale, dalla sua educazione, e dalle sue radici.

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4. Da cosa è attratto il pubblico italiano?

In Italia Kader è molto seguito e apprezzato. È il nostro quarto autore come vendite. La casa della moschea ha venduto più di 30 mila copie, mentre complessivamente gli otto titoli pubblicati da Iperborea si aggirano intorno alle 100 mila copie. Quindi non può essere propriamente definito un autore di nicchia. In Olanda men che meno; ogni suo libro vende 200 mila copie. Anche per un editore grande 30 mila copie è un buon numero, oggigiorno non parliamone!

Il viaggio delle bottiglie vuote è andato sin dall’inizio piuttosto bene, l’abbiamo esaurito poco tempo dopo; fu un ottimo risultato, considerato che nel ’96 Iperborea non aveva ancora compiuto 10 anni. Quando avevamo un titolo di un nuovo autore, la prima tiratura era sulle 3 mila copie. Ma quest’opera venne fatta ristampare quasi subito. Scrittura cuneiforme ebbe ancora più successo, e a oggi ha quasi pareggiato con La casa della moschea.  Poi siamo passati alla riscoperta delle opere precedenti. A me è piaciuto molto anche Il re: scrittura meno poetica, ma Kader è riuscito a riattualizzare una storia di fine Ottocento in Iran e a far capire cosa può cambiare profondamente un paese, nello specifico un’invenzione scientifica come quella del telegrafo, che nella storia dell’Iran ha avuto la stessa identica funzione di Facebook, i social network e internet nella Primavera Araba. Quando si osserva una realtà statica e bloccata da tempo immemore, con l’arrivo di una tecnologia rivoluzionaria per l’epoca, si ha un impatto immediato a livello politico, e anche i paesi strutturati rigidamente tendono a spostarsi verso la democrazia.

Lui ha questo spiccato intuito nel leggere la realtà, ovvero individua quei meccanismi che si ripetono, e nei suoi libri ha la capacità di renderli più espliciti e chiari con espedienti linguistici di alta poesia. Anche la sua maniera di raccontare la storia dell’Iran fa capire certi aspetti del paese, persino a chi non ne ha mai saputo nulla. Questo è parte del fascino della sua scrittura. Il lettore italiano impara delle cose, non solo fatti asettici che son successi, e che ignora o dimentica. Capisce che quando lo scià ha spinto troppo verso il modernismo, forzando uno sviluppo che, magari più lentamente e con una maggiore interiorizzazione, sarebbe accaduto spontaneamente, ha provocato la reazione opposta, vale a dire estremismo e fondamentalismo. Sono esattamente questi aspetti gli strumenti di comprensione di realtà che ci sono lontane.

Il fatto che ormai da anni lui viva in Olanda, fa sì che lui conosca la nostra percezione, e sappia come presentarci una realtà estranea e distante. I suoi libri non sono manuali, la forza della sua scrittura sta anche nel trasmettere quel senso dato dalla nostalgia e dallo sradicamento. L’impossibilità di rientrare in Iran, la vive come una menomazione. Io credo che tutti gli scrittori debbano avere una parte che manca, altrimenti, perché dovrebbero scrivere?Kader dice che sente l’obbligo di dar voce a chi non l’ha avuta, a chi è stato zittito perché ammazzato, a chi non ha la capacità di esprimersi o chi non può politicamente farlo. È profondamente vero, io credo in questo. Lui ha un forte senso del dovere nei confronti della testimonianza. Ciò che lo spinge a scrivere non è soltanto un sogno personale, o un’ambizione, bensì il voler rappresentare qualcosa di piuttosto unico. Ora la letteratura di immigrati è abbastanza diffusa, ma soprattutto per far capire qual è il dramma.

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5. Letteratura classica, contemporanea, e multiculturale. Avete individuato un esponente di quest’ultimo genere in Kader Abdolah. Perché non altri autori?

Sì, Kader trattava un tema nuovo, che non avevamo ancora in catalogo tra i nostri titoli olandesi, mentre ora ce ne sono vari che lo affrontano. Anche se, a dire il vero, non è che noi abbiamo un approccio ideologico, del tipo «Ci manca quel tema, quindi facciamolo». L’apertura è a tutto campo, ma siamo estremamente esigenti nelle nostre scelte. I nostri criteri mirano sempre a una letteratura di alto livello, e prediligono temi un po’ esistenziali, politici, sociali, o storici. Non ci interessa un granché la quotidianità, ed è forse per questo che pubblichiamo poco le donne, perché le donne si sentono in genere più legate ad aspetti e problemi concreti. Non che sia una verità universale, ad esempio Hella Haasse scrive su temi politici e sociali, non propone i tipici “temi femminili”, che poi in realtà non sono altro che uno stereotipo…

Kader rientra in questi criteri. Siamo gli unici suoi editori che hanno pubblicato tutte le sue opere, eccetto i primi racconti che erano già editi in Italia, perché è un autore che apprezziamo parecchio e quel connubio tra Oriente e Occidente lo rende un po’ unico. Quando abbiamo pubblicato Il messaggero, mi è spiaciuto non affiancarlo al Corano, come hanno fatto gli editori olandesi, perché non potevamo tradurre il Corano da quella che era già una traduzione in olandese rivisitata da Abdolah. Se ci fosse un immigrato in Italia che si prendesse questa briga, cioè di tradurre in lingua bella, poetica, il Corano, farebbe un’eccellente opera, perché il Corano nelle versioni italiane è illeggibile, brutto, e siccome dicono che è un’opera meravigliosa, sarebbe bello leggerlo in alta poesia. E forse saremmo anche più in grado di capirci coi musulmani. Lui si è preso quel ruolo, anche con delle operazioni che non sono così scontate; aver pubblicato la vita di Maometto e il Corano insieme è di sicuro un atto di grande coraggio, perché, a dire il vero, non è che ci proponga una versione edulcorata di Maometto, anzi, lo presenta come un personaggio molto tosto, umano, e poeta, in cui lui si immedesima chiarissimamente.

Ecco, l’unico libro che non abbiamo pubblicato è Zeesla en de lepels van Alice, e non l’abbiamo fatto per motivi letterari, perché avrebbe potuto essere un libro di gran lunga migliore di quello che si è rivelato. L’idea è molto bella: Kader aveva pubblicato un annuncio sul giornale, in cui ricercava persone per farsi raccontare la loro storia, per poi convertirla in opera letteraria. La selezione fu rigida perché ebbe un numero di risposte assolutamente folle, di cui ne furono selezionate una ventina. Forse, proprio perché è un libro scritto su commissione, non è stato elaborato letterariamente. Se Abdolah l’avesse fatto, avrebbe potuto venirne fuori uno dei suoi eccellenti romanzi. Lui ha proprio la capacità di prendere una vita e farne un’operazione poetica, mentre nell’opera in questione ha mantenuto lo stile tipico della testimonianza, più asciutto e giornalistico. Non aveva quindi molta continuità con la linea che stavamo seguendo.

Mi viene da pensare alla mia grande passione, La vita vera di Tunström, e a quegli autori che sanno trovare lo straordinario in ogni singola vita; guardano dentro e scorgono le cattedrali di sogni che ogni essere umano cela nel suo profondo. Quindi partire dalla vita vera e trasformarla in vita emblematica è l’operazione letteraria. Poi noi, riflettendoci nella vita emblematica, capiamo di più la vita vera. C’è questo gioco di specchio, che è del resto la vera funzione della letteratura. Altrimenti a cosa serve leggere, se non a capire di più i meccanismi umani? Oltre a essere un passatempo molto piacevole, ha lo scopo di fornirci pericolosi codici di interpretazione, per cui ci si pone sempre questo genere di domanda: “Ma saremmo capaci di essere innamorati se non avessimo letto dei libri sull’amore?”.

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6. Altri autori e opere che vorreste inserire in catalogo?

Alternando sempre classici e contemporanei, di sicuro Nescio. Stephan Enter sarà invece la nostra prossima uscita. Avevamo inizialmente deciso come primo titolo I giochi (titolo originale Spel), che proponeva il racconto della vita e le sue diverse tappe attraverso vari giochi, sempre legati alla figura della nonna e del passato, quindi degli strumenti per comprendere meglio la propria identità. Invece, abbiamo infine optato per La presa, che narra di un appuntamento tra quattro amici a vent’anni da un episodio che aveva cambiato la loro vita, e modificato le loro dinamiche relazionali. Poi Kader sta appunto scrivendo un nuovo romanzo. Pubblicheremo una nuova opera di Cees Nooteboom, Tumbas, una raccolta fotografica in cui la moglie dell’autore ha immortalato per lui le tombe dei suoi scrittori preferiti, durante “pellegrinaggi letterari” in giro per il mondo. Le foto sono accompagnate da didascalie, saggi o poesie scritte da Nooteboom. Inseriremo Jan Brokken, con il suo libro “Anime baltiche”, e pubblicheremo ancora Frank Westerman.

Abdelakader Benali, altro esponente della letteratura d’immigrazione, lo abbiamo preso in considerazione diversissime volte, pensando puntualmente: «Dai, ci siamo…» ma poi c’è sempre qualcosa nei suoi libri che non ci convince fino in fondo. Di Tommy Wieringa, che tra i giovani è di sicuro il più bravo, abbiamo già pubblicato Joe Speedboat, in cui tra l’altro, si incontra un personaggio femminile bellissimo e poeticissimo, che l’autore smonta alla fine del romanzo. A breve uscirà Questi sono i nomi, libro piuttosto cupo. La scrittura è l’aspetto che più mi colpisce di Wieringa, infatti la stessa storia senza una scrittura così bella non la pubblicherei. Viene a galla molta durezza e negatività, solo che il livello di bravura letteraria è tale, che gli perdono queste asperità e brutture. È l’opposto di Tunström, che è capace di estrapolare il lato positivo anche dalle persone più bieche e sgradevoli.

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7. Il primo approccio in assoluto alla letteratura olandese?

In verità è nato abbastanza per caso. Io credo molto al caso nella vita, sono convinta che il caso non sia un caso. La casa editrice era nata per pubblicare scandinavi, l’Olanda non era contemplata. La traduttrice Laura Pignatti partecipò a una nostra presentazione durante il festival dell’Unità, agli inizi, e mi disse: «Ma perché non l’Olanda?!» e io risposi «Ça suffit à mon bonheur quello che già facciamo, però non è da escludere. Vedremo».

E fu così che un giorno mi trovai a Parigi, in una giornata di luglio assolatissima, caldissima e deserta. Camminavo sul lungo-Senna, dove c’erano tutti i bookinist, vicino a Pont Saint-Michel. A un certo punto, mi capitò tra le mani questo libro, Schiuma e cenere, e cercai il nome dell’autore. Jan Jacob Slauerhoff. Decisi di comprarlo perché mi piaceva il titolo, evanescente. Ero completamente sola, dei miei amici non c’era nessuno, quindi mi sedetti su una panchina ai giardini, con questo libro in mano, e cominciai a leggerlo. Pensai: «Ma questo scrittore è un genio!». Ero esaltatissima, e pensai: «Ma com’è possibile, questo olandese, mai sentito, e con questo livello di scrittura!». Poi trattava tutti quei temi che sentivo a me vicini, miei: il mare, l’avventura, la decadenza… L’avevo trovato splendido.

Sempre proseguendo i miei giri solitari, entrai in una libreria e una copertina in particolare catturò la mia attenzione. Il canto dell’essere e dell’apparire.  Autore: Nooteboom. Un altro titolo meraviglioso. Lo comprai, e mi misi a subito a leggerlo. Una volta terminato, dissi tra me e me: «Io non so nulla di questa letteratura, prendo due libri a caso e sono due piccoli capolavori. Questo è un segno del destino, devo inserire anche l’Olanda». E poi non avevo idea di come mettermi in contatto con Nooteboom, ma tramite l’editore riuscii a recuperare l’indirizzo. Gli inviai una lettera, dicendo che non sapevo nulla di lui, ma avevo letto un suo libro, e trovandolo meraviglioso, volevo assolutamente pubblicarlo. Specificai che ero un piccolo editore; sicuramente non avrebbe fatto affari d’oro in Italia grazie a Iperborea. Era il 1991, e già con la prima lettera gli inoltrai un’offerta. Un bel giorno arrivò la sua risposta in cui mi rispondeva che in effetti l’offerta non era molto alta, ma era molto contento di essere pubblicato in Italia, quindi accettava la proposta con piacere. Quando ci incontrammo, mi raccontò che aveva avuto diversi rapporti con editori italiani che elogiavano le sue opere, ma nessuno aveva avanzato alcuna offerta concreta. Oggi è l’autore olandese più di prestigio, e quando viene in Italia, tutti i giornalisti fanno a gara per intervistarlo, tutti i festival lo invitano come ospite. Lui ha capito che non è responsabilità nostra se ha una cerchia piuttosto ristretta di fan e non arriva a vendite da best-seller. La verità è che scrive libri difficili. Troppo difficili per riscuotere successo in Italia.

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