Mirza

 

È ormai dal 1996 che Kader Abdolah gestisce la rubrica Mirza del Volkskrant – una tra le testate giornalistiche di centro-sinistra più diffuse nei Paesi Bassi – in uno spazio in cui propone degli articoli dedicati soprattutto al confronto tra i costumi e le tradizioni della patria natia e dell’Olanda, mettendone in luce diversità e analogie. Con sguardo vigile verso i fatti di attualità più significativi, l’autore, oltre ad aver dato prova con i suoi romanzi di straordinarie capacità narrative, sperimenta anche la realtà giornalistica. Affronta anche qui uno dei temi più tipici e costanti della sua scrittura, ovvero il distacco dalla terra d’origine e la fatica che comporta affondare le proprie radici in un suolo sconosciuto, seppur altrettanto fertile. Riemergono quindi tutte le questioni dell’immigrato, che cerca di cucire nuove trame relazionali in un tessuto socio-culturale del tutto inedito.

Abbiamo selezionato e tradotto per i nostri lettori alcuni interventi estrapolati dagli archivi del quotidiano.

 

 

Alla salute!

Kader Abdollah 28/12/98

Gli antichi padri di questa terra piana facevano rumore sbattendo le marmitte l’una contro l’altra, soffiavano il corno e suonavano il tamburo per scacciare gli spiriti maligni: sdeng, sdeng, sdeng…

I primi abitanti che si insediarono nel paese, rimasero fedeli alla tradizione, festeggiando il Capodanno secondo il culto germanico dei loro antenati. E questo era il saluto della luce, proprio quando il sole si fa alto nel cielo e le giornate buie pian piano se ne vanno.

Di quelli che un tempo erano tredici giorni di festa, è rimasta soltanto la notte dell’ultimo dell’anno. La radice della celebrazione persiana è la stessa di quella olandese. Ecco la luce e il rumore delle marmitte. È così che io festeggio secondo l’usanza dei Paesi Bassi, e anche secondo la mia.

Quest’anno farò qualcosa di semplice, perché un amico e un paio di colleghi iraniani sono stati uccisi, ma nonostante questo, resto devoto al festeggiamento di questi tredici giorni.

Il primo giorno vado in città a comprare dei vestiti per i figli e la moglie del mio amico scomparso. Non posso portarglieli a piedi, e nemmeno in bici. Con l’autobus mi fermerebbero al confine, e il permesso per volare non ce l’ho.

Quindi glieli consegnerò in sogno:

“ Ecco per voi dei vestiti allegri, toglietevi gli abiti da lutto”

Il viaggio dura dai tre ai cinque giorni.

Il sesto giorno compro una scatola di biscotti squisiti e un mazzo di fiori profumati e vado a trovare Fati in ospedale.

“Ho paura”, mi dice. “Come faccio se mi iniziano a cadere i capelli?”

“Non preoccuparti, ti porto una parrucca bionda”, cerco di sdrammatizzare.

“Piantala”.

Il settimo giorno vado a cancellare la mia iscrizione. Non voglio più essere un membro dell’Associazione degli scrittori olandesi. Cosa sono buoni a fare i miei colleghi? Una società che non si mobilita, che non reagisce a nulla. Günter Grass ha detto: “Uccidere degli scrittori? È un crimine contro l’umanità”. Scrittori tedeschi, francesi, svedesi o provenienti da qualsiasi parte del mondo sono le coscienze vigili dei loro paesi. Ne accadono di cose in Olanda, sia belle che brutte, ma dove sono gli scrittori? Shhhh! Non disturbiamoli, sono tutti presi dal loro nuovo romanzo.

L’ottavo giorno vado al centro di accoglienza: “Ho paura”, ammette una ragazza che già da quattro anni sta qui. “Tutte le volte lo stesso incubo: improvvisamente mi ritrovo sola al mondo, mentre un cane mi insegue. Mi vogliono cacciare dal paese!

Non la esprime a parole, ma nei suoi occhi, leggo una richiesta di aiuto. Ma come posso aiutarla io? “Ecco, questo è il mio indirizzo. Se ti vogliono mandar via, vieni pure da me, corri a casa mia. Bloccheremo la porta con divani, sedie, credenza, frigorifero, armadio dei vestiti, scarpe e calzini, così che non riusciranno mai ad arrivare a te”.

I giorni che restano li passo a lavorare sodo perché la prossima settimana Mirza si trasferisce alla pagina di cultura. Alla vostra salute!

 

 

 

Un nuovo membro!

Kader Abdolah 29/05/06

Li incontro sempre più spesso a Roma, Berlino, Stoccolma, Copenaghen, Amsterdam, Londra, e anche a New York…

Prima mi capitava di incrociarli qualche volta durante alcuni eventi letterari, ma pensavo si trattasse più di un caso che di un vero e proprio fenomeno. Lo scorso anno sono stato invitato a un simposio letterario, organizzato dall’associazione PEN con sede a New York, di cui Salman Rushdie ne era presidente. Non appena entrai nella sala della riunione, ebbi un sussulto. C’erano molti scrittori, giovani donne, giovani uomini, uomini che iniziavano ad avere i capelli grigi. Ognuno di loro schiacciato dalla difficoltà di apprendere una nuova lingua.

Provenivano da tutti gli angoli d’Europa, ma erano di origine asiatica, africana, indiana, cinese e russa. Curioso! Era come se mi trovassi di fronte a me stesso, come se mi stessi riflettendo per la prima volta allo specchio. Tra di noi, c’era chi aveva la pelle scura, chi nera, chi gialla, chi olivastra e chi bianca. Ma ora, dopo il lungo viaggio che avevamo fatto, eravamo diventati europei.

E non dei semplici europei, ma degli europei nuovi.

Un tempo erano ben pochi gli autori (ad esempio Beckett) che si davano alla scrittura in una lingua diversa dalla loro naturale, ma erano unici. Gli scrittori che ho incontrato durante questo simposio non erano nulla di straordinario, facevano parte di una massa. Era nato un nuovo movimento. E qualcosa accomunava tutti loro: ognuno era intento a farsi strada attraverso la letteratura nel nuovo paese che li ospitava. Guardavano all’Europa in un modo completamente diverso rispetto agli abitanti autoctoni. E si erano portati con sé dall’Oriente e dall’Africa il proprio bagaglio culturale.

A dire il vero, non erano ancora degli autentici scrittori, ma dei creatori. Essi gestiscono infatti la lingua in modo differente rispetto agli scrittori nativi. Si impossessano di parole estrapolate dalla nuova lingua e le “cementificano” con la loro cultura, generando un nuovo ordine. Creano così frasi inedite, oltre che una nuova storia.

Dopo questo incontro a New York, li rivedo ovunque. Settimana scorsa a Roma. Un assortimento di nuove facce. Caratteri energici, alimentati dalla loro rinascita. Sentii un nuovo suono!

L’Europa ha 25 stati membri. Di recente il Montenegro ha deciso per l’indipendenza. Un nuovo membro dell’Unione Europea, con i suoi 678, 200 abitanti. Benvenuto Montenegro, ma non sei l’unico nuovo arrivato. C’è un altro stato, con dieci milioni di abitanti. Uno stato che di fatto non esiste. È lo stato di tutti gli immigrati che vivono sparsi in tutta Europa.

Gli abitanti di questo paese parlano una lingua europea fuori la loro porta di casa:

“Come stai?”

“Bene!”

Ma a casa, in soggiorno e in camera da letto, parlano la lingua dei loro nonni: “Goebi? Goeb gabidi?”

Sono occupati ad attecchire con le loro radici sul suolo europeo. Sono molto occupati a dare una mano ai loro figli. I loro scrittori provano a mettere nero su bianco la loro nuova identità.

Queste persone hanno dovuto seguire diverse strade per approdare in Europa. Hanno vissuto una serie di esperienze. Ma quando in biblioteca tiri su un libro di uno dei loro scrittori, scopri qualcosa di sorprendente. Sembra che siano i libri di una sola cultura, di un unico popolo. Parlano della gioia, del dolore, dei desideri, della nostalgia, dell’abbandono delle case e dei morti di un popolo.

Il vecchio continente si è arricchito, è diventato uno stato artefatto, un paese che è frutto della fantasia. Un popolo di vecchie canzoni:

Ti penso

Giorno e notte!

Appoggio la mia testa al tuo grembo

Giorno e notte

Rumi ˡ

 

1: Jalāl al-Dīn Rūmī,  nato nel 1207, morto nel 1273 a Konya, è considerato il massimo poeta mistico della letteratura persiana.

 

 

 

In Zelanda

Kader Abdolah 01/05/06

Era il mese della libertà in Zelanda. Quella settimana ero in giro per le scuole e biblioteche…

 

– Ti piacciono i crauti? E i cavoletti di Bruxelles?

– È vero che hai imparato la lingua leggendo Jip e Janneke?

– In che lingua sogni?

– I tuoi racconti sono autobiografici, o li hai inventati tutti tu?

– Perché scrivi?

– Hai incontrato Annie M. G. Schmidt?

– In che lingua parlate a casa?

– Cosa ti ha lasciato a bocca aperta quando sei arrivato in Olanda?

– Cosa non ti piace degli olandesi?

– Hai letto il corano? E di cosa parla? Potresti citarci qualche pezzo a memoria?

– Tornerai al tuo paese quando ti sarà di nuovo permesso?

Crauti? E quali sarebbero? Ah sì, devo pure starci a pensare, se li trovo buoni o meno.

Il corano? Sì, ne so un pezzo a memoria? Volete sentirlo?

Annie M. G. Schnudt? Comprai per lei un mazzo di fiori e bussai alla sua porta.

Oltre a tutte le città, ho visitato anche tutti i paesi e paesini della Zelanda: Boerenhol, IJzendijke, Waterlandkrekje, Schoondijke, Zoutelande, Koudekerke, Biggekerke, Meliskerke, Aagtekerke en Domburg.

Queste belle e, a volte, difficili domande, sono state preparate apposta dagli studenti in vista dell’incontro. E io rispondo loro con onestà e grande piacere. Di un dibattito in particolare non mi dimenticherò mai. Fu allo stesso tempo la mia gioia e il mio dolore. In una di queste scuole, ho incontrato un ragazzo di 14 o 15 anni che, da solo, mi ha intervistato. Aveva problemi nell’esprimersi. e si era battuto a lungo per mantenere sotto controllo le parole. Oh, che battaglia, e che vittoria. Mi sentivo onorato di rispondere alle sue domande. Era il premio per la mia lotta contro la lingua olandese. Fu amore a prima vista, mi infatuai da subito della Zelanda, la provincia della lotta, della battaglia e della vittoria.

Una volta, nelle acque della Schelda orientale, rimasero incagliati, tra le reti di un pescatore dei frammenti di Nehalennia. Nehalennia non era una dea romana, bensì una divinità alloctona in Zelanda.

Un tempo i Romani, un tempo Nehalennia, e ora io.

La Zelanda è una lunga poesia, bella, grande, verde, ospitale e tranquilla. Solo ora, durante i primi giorni di primavera, qui, in Zelanda, capisco da dove proviene la luce che filtra nei quadri di Rembrandt, Vermeer e Van Gogh.

La poesia è il massimo dell’arte per le persone con un basso quoziente intellettivo, ma la fisica è il massimo della poesia per le persone con un elevato quoziente intellettivo. La Zelanda è fisica.

È un privilegio attraversare il fiume, viaggiando nel tunnel sott’acqua della Westerschelde, lungo 6,5 chilometri.

È un privilegio camminare tra i polder, creati con tonnellate di sabbia , dopo il disastro del 1953.

La Zelanda è un grande romanzo. Perché nessuno ha ancora scritto questo capolavoro? Letteratura mondiale sul dolore, le battaglie, la gioia e le meraviglie del suo popolo.

Forse lo devo fare io, uno straniero che ha visto con i suoi occhi il dolore e ha affrontato la lotta. Non è forse un caso che Nehalennia, la divinità alloctona della fertilità di uomini, animali e piante, si trovasse sul fondo della Schelda orientale. Chi lo sa, forse la mia opera d’arte: la Zelanda.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *