Vijftigers – i Cinquantisti

Cinquantisti

Quando pensiamo all’immagine del poeta è facile dipingerci nella mente un uomo sognatore, introverso, timoroso del mondo che lo circonda. Insomma, un uomo che appena lo guardi capisci subito che non potrebbe essere altro se non un poeta.

Se però pensiamo all’esperienza poetica olandese degli anni ’50 ci dobbiamo subito ricredere: salta subito all’occhio un gruppo di poeti dall’animo ribelle e innovativo, i Vijftigers, i cosiddetti Cinquantisti. Questi attraverso lo sperimentalismo e comportamenti, per utilizzare un termine un po’ eufemistico, “particolari”, fecero subito parlare di sé, attirando un vastissimo pubblico.

Noti anche come Experimentelen (“Sperimentalisti”), erano legati alle arti figurative e in contatto con correnti estere, tra cui il gruppo Cobra (nome composto dalle iniziali di Copenhagen, Bruxelles e Amsterdam, città da cui provenivano i componenti di questo gruppo di artisti). Proprio alla mostra di questi, tenutasi allo Stedelijk Museum di Amsterdam, i Cinquantisti si presentarono al pubblico servendosi di un’opera basata su una poesia inedita di Gerrit Kouwenaar che mostrava la frase “er is een lyriek die wij afschaffen” (c’è una lirica di cui vogliamo sbarazzarci)

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(da sinistra a destra: Gerrit Kouwenaar, Lucebert, Bert Schierbeek e Jan G. Elburg)

Un altro episodio degno di nota è quello che vede come protagonista Lucebert quando ritirò il premio conferitogli dal comune di Amsterdam: si presentò travestito da imperatore dei Cinquantisti con corteo al seguito. Se ai giorni nostri una cosa simile non fa poi tanto scalpore, negli anni ’50, invece, fu considerato uno scandalo, coinvolgendo la stampa nazionale. Insomma, avevano raggiunto il loro scopo: da sempre una pubblicità negativa garantisce una maggiore visibilità.

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(Lucebert insieme al suo corteo alla premiazione del comune di Amsterdam)

Nei primi anni Cinquanta questo gruppo di artisti non poteva considerarsi ancora ben definito, era semplicemente un insieme di artisti di ampie vedute che orbitava attorno ai Cobra, ma ben presto assunte dei tratti distintivi ben chiari. Ciò accadde grazie alla stampa e alle antologie: grazie a Simon Vinkenoog che iniziò a pubblicare saltuariamente la sua rivista “Blurb” da Parigi, e a Remco Campert e Rudy Kousbrok che, invece, fondarono “Braak”, nel 1951 il gruppo ottenne sufficiente importanza da poter comparire su una vera e propria rivista, “Podium”.

Le tre antologie più importanti su di loro furono “Atonaal” (1951) di Simon Vinkenoog, “Nieuwe Griffels, schone leien” (1954) di Paul Rodenko e “Vijf 5tigers” (1955) di Gerrit Kouwenaar, ma fu con “Waar is de eerste morgen?” (1955) di Jan Walravens che i Cinquantisti attecchirono anche in Belgio.

Cosa volevano questi ragazzi? Gerrit Kouwenaar nell’introduzione a “Vijf 5 tigers” fa riferimento agli sviluppi avvenuti a seguito della Prima Guerra Mondiale, negli anni ’20, quando i Dadaisti, i Surrealisti e gli Espressionisti reagirono, ognuno a suo modo, alle vicende shoccanti del passato: “Ma”, scrive, “ora siamo nel 1950, non più nel 1920: il vento freddo e gelido ha congelato le lacrime. In questi trent’anni abbiamo dovuto affrontare di tutto: campi di concentramento, l’angoscia, l’inverno della fame, un sonetto completamente morto, una Corea (…), la nascita di un mal de vivre meno romantico e un maggior senso di realtà”.

Da una parte, quindi, si parla di un rinnovamento della forma e dall’altra del contenuto. I Cinquantisti cercano di rendere nella loro opera il caos totale del mondo e, anche, di coinvolgere il lettore, provocando effetti di scossa nell’abbandonare ogni tradizione metrica, sintattica, talvolta anche semantica (il “sonetto completamente morto”) nel ritornare al balbettio del bambino, nel tentativo di ridare alla parola la sua carica originale o una nuova forza associativa (tra le loro pagine si incontrano spesso termini come gestord (squilibrato) e kinderlijk (infantile), non considerati dispregiativi, ma piuttosto complimenti). La parola si spoglia di tutti i fronzoli, non è più mezzo per rappresentare un’unica realtà, è semplicemente lei, trasposizione, puro contenuto, aperta alle esperienze di ogni individuo. Se un poeta tradizionale paragona l’amata al fiore, il poeta cinquantista, invece, omette le locuzioni avverbiali (“come”) e il primo termine di paragone e si limita a scrivere “fiore”: in questo modo crea una metafora autonoma, lasciando che il lettore sia libero di associarlo ad una qualunque immagine che a sua volta può essere mezzo per nuove associazioni.

Non c’è dubbio, quindi, che i testi dei Cinquantisti di primo acchito possano risultare difficili o privi di senso, ma nel loro essere ermetici offrono diversi livelli di lettura, sciogliendo le briglie con cui erano legati i lettori fino ad allora. Il contenuto, dunque, manca di logica, ma è proprio questo il loro scopo: la poesia deve essere un’espressione diretta, non filtrata dalla coscienza, le immagini devono richiamare nuove immagini, i suoni nuovi suoni, le parole nuove parole; la poesia deve essere un mezzo per mettere nero su bianco la realtà e scoprire quegli aspetti che rimangono celati nei normali processi mentali.