Recensione del romanzo “Lunedì Blu”

Crudo. Così definirei questo romanzo e così definirei anche lo stile dello scrittore Arnon Grunberg.

Grunberg ha raccontato che molte delle esperienze narrate nel libro le ha vissute in prima persona ma ci sono anche tante vicende che sono il frutto della propria fantasia.

L’io narrante, che porta il nome di Grunberg, però affascina, intriga, porta il lettore a leggere ogni pagina con brama per vedere come andrà a finire.

Nella prima parte del romanzo, Arnon è un ragazzo svogliato e senza prospettive nella vita che dopo esser stato espulso da scuola passa le sue giornate con la fidanzatina Rosie e a grandi linee ci offre un quadro generale della sua famiglia.

La seconda parte invece, Arnon passa da un bar all’altro di Amsterdam come da una prostituta all’altra giusto per ammazzare il tempo, per abitudine in una solitudine priva di qualsiasi angoscia.

Marcella, Nastasja, Astrid, Tina, Sandra, ogni volta una donna diversa, senza mai ripetersi perché, è il solo modo per dare unicità al rapporto. O forse, citando il proverbio tedesco “Einmal ist keinmal”, perché quello che accade una sola volta è come se non fosse mai accaduto.

L’amore di Arnon è svuotato di qualsiasi significato e i sentimenti risultano superflui “forse non dovremmo più cercare di esprimere l’amore con le parole. Forse dovremmo piantarla con tutte quelle storie sull’amore, dovremmo dare calore agli altri nell’unico modo possibile, con il corpo, e per il resto tacere”.

Ecco che allora Arnon, dopo un incontro con una delle prostitute, decide di entrare a far parte di un servizio di escort.

Il filo conduttore di questo libro è un’arrestabile curiosità, la voglia di trovare qualcosa di unico nella vita accantonando però le classiche domande sulla vita che spesso risultano anche scomode.

Stringe il cuore spesso. Fa tristezza. Viene da chiedersi perché Arnon butta via così la sua vita e viene voglia quasi di prenderlo per mano e mostrargli quanto può  essere bella la vita.

Invece si resta immobili davanti a immagini vuote ma piene di senso.

C’è un padre semialcolizzato che non si sa come si guadagni da vivere, forse viaggiando; poi vi è una madre scampata ad Auschwitz, stanca di tutto e di tutti che continua a ripensare al suo passato in cui era bellissima e tutto era diverso; in ultimo una sorella che vive in Israele.

Una famiglia di origine ebraica, ma che di ebreo ha solo il ricordo.

Arnon non da un’immagine idilliaca della propria famiglia, anzi.  Porta alla luce tutte le cose che solitamente le persone non vogliono mostrare, che nascondono come un terribile segreto.

Lui invece le mette sul tavolo, con tutti i difetti possibili: è spietato ma anche illuminante.

Affronta con occhio lucido una realtà degradata e marginale.

Il libro è pieno di riflessioni, spesso profonde, in cui l’animo ferito di Arnon traspare chiaramente:

“…ora penso che si soffra non perché non si è amati, ma perché non si sa amare, in ogni caso non abbastanza, non come si vorrebbe, o come si dovrebbe”.

Questo libro, come ogni altro libro, può piacere oppure no.

Di sicuro si legge velocemente, ma le parole forti e crude e le immagini che esse rimandano possono spesso creare imbarazzo e rigidezza nel lettore.

Nel dare un giudizio a questo romanzo mi trovo emotivamente divisa a metà: per una curiosità mia non vedevo l’ora di sapere come la storia di questo ragazzo si sarebbe evoluta, ma dall’altra parte, il linguaggio utilizzato mi ha sinceramente dato fastidio.

Forse il fatto che la storia raccontata non sia completamente finzione è stato quello che più mi ha messa a disagio: conoscere la realtà di mondi a noi estranei, e non sempre idilliaci, a volte può angosciare.E a me è successo.

Copertina del libro

 

Recensione di Greta Scacchi

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