La posizione del migrante nella società olandese

I lavoratori ospite1

Grazie alla felice congiuntura economica degli anni Sessanta, in Olanda si diffonde un benessere senza precedenti. Infatti, vengono scoperti importanti giacimenti di gas naturale, che rendono ricchissima la nazione. Inoltre l’industria si espande, gli stipendi aumentano e si assiste ad un afflusso massiccio di lavoratori dall’area mediterranea. Questi ultimi giunsero in un primo momento da Paesi, quali Spagna, Italia, Turchia, Marocco e la futura Yugoslavia. In quegli anni, non si tentò una politica di integrazione per questi guest workers, forse per l’accezione di temporaneità che quel “guest” sottintendeva. L’idea di fondo era infatti che i lavoratori si fossero messi da parte un certo capitale iniziale, per tornare successivamente nel loro paese d’origine. Molti certamente tornarono, ma una porzione equamente ampia decise di stabilirsi nei Paesi Bassi. Nel 1975 l’Olanda chiuse ufficialmente le frontiere a questa forma di immigrazione, a causa della crisi economica e della caduta della domanda di lavoro; a coloro che erano già nei Paesi Bassi venne concesso il diritto di essere raggiunti dai propri familiari. Inoltre a coloro che in seguito si sposarono con qualcuno del proprio paese d’origine fu permesso di portare il proprio coniuge nel paese. Questa formazione e ricongiungimento familiare significò che poco dopo il 1974 la presenza di Turchi e Marocchini nei Paesi Bassi crebbe in consistenti quantità. Se consideriamo anche la cosiddetta “seconda generazione” (i figli degli immigrati che sono nati in Olanda), abbiamo un totale di circa 400 mila persone stabilitesi in pochi anni.

I rifugiati politici

Dagli anni Ottanta, l’Olanda si è riconfermata “la grande arche des fugitifs” come la definì Pierre Bayle, dando asilo a cittadini provenienti da regimi dittatoriali o da nazioni in guerra”2. Il 1975 segnò ufficialmente la data della chiusura delle frontiere per i lavoratori stranieri. Questo significò che coloro che desideravano andare in Olanda dovevano scovare altri modi per entrare nel paese: molti di loro optarono per la richiesta di asilo politico. L’Olanda aveva firmato la Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, riguardante la condizione dei rifugiati, e aveva sviluppato procedure per garantire asilo a coloro che erano perseguitati per ragioni politiche nel loro paese d’origine. Per molti anni questo problema riguardò al massimo poche migliaia di casi all’anno, negli ultimi anni invece il numero delle richieste è salito vertiginosamente: il numero delle domande raggiunse un picco di 45 mila nel 1998, dalle 4.522 del 1985, senza dimenticare che tra il 1978 e il 1983 il numero crebbe considerevolmente (intorno alle 1.000 richieste). Questo fenomeno può essere spiegato da drammatici eventi che colpirono l’Europa: il collasso politico ed economico dell’ex-Unione Sovietica nel 1998 portò ad una migrazione di massa, come pure la crisi dei Balcani nel 1999 incrementò il numero dei rifugiati. Inoltre l’abolizione dei controlli nei confini interni dell’Unione Europea rese relativamente semplice, per questi rifugiati, muoversi da uno stato europeo all’altro. L’Olanda si presentò impreparata di fronte a questo afflusso massiccio: i servizi preposti all’immigrazione non riuscirono più a dare risposte adeguate alle numerose esigenze sopraggiunte; il sistema necessitò dai due ai tre anni per essere migliorato. Durante questo periodo coloro che avevano richiesto asilo sarebbero potuti restare legalmente nel paese. La maggior parte dei casi aveva, comunque, motivazioni non sufficienti per richiedere asilo politico; di conseguenza più del 90% delle richieste fu respinto.

A questo proposito, nessuno conosce il numero esatto di persone che vivono illegalmente nei Paesi Bassi; ciononostante si stimano poche centinaia di migliaia di clandestini, in particolare impiegati nel lavoro nero, tra cui la prostituzione, per questo ancor meno raggiungibili3.

“Si può affermare che fino alla prima metà del ventesimo secolo i Paesi Bassi siano stati una società multiculturale, benché di segno essenzialmente europeo”4. “L’immigrazione alla fine del secondo millennio cambia non solo il volto, ma anche il carattere della società olandese: l’Olanda diventa un paese multietnico che costruisce moschee e deve fare i conti con la compresenza di diverse religioni. L’integrazione è un processo lungo e difficile che non si può ancora ritenere concluso”5.

1.2 Dibattito sulla società multiculturale dei Paesi Bassi

Nell’ambito di uno studio sulla società multiculturale, sia esso da un punto di vista letterario, sia esso saggistico e socio-politico o giornalistico, ho ritenuto utile creare un quadro d’insieme su alcuni degli argomenti che ruotano attorno ad una realtà così complicata e controversa: quella della convivenza di culture tra loro estremamente differenti, in particolare la società multiculturale olandese. Partendo da un livello generale, ho deciso di inserire delle nozioni sul “processo di integrazione”, passando poi, ad un livello specifico, alla descrizione delle motivazioni che creano tensioni nella società multiculturale dei Paesi Bassi, senza omettere dati rilevanti che giustifichino la fondatezza dell’“arena multiculturale” che caratterizza la popolazione olandese. A questo punto, il dibattito politico segna un’importante tappa nel percorso costruito, in quanto, dopo aver tracciato una panoramica della situazione olandese, veniamo a conoscenza delle idee, delle reazioni, delle proposte su problemiatiche a cui per primo il governo non ha potuto voltare lo sguardo.

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1 Trad. dal nederlandese gastarbeider
2 AA.VV., Dall’Autunno del Medio Evo alle Montagne dei Paesi Bassi, Milano 2001, p. 102
3 http://www.mclink.it/n/dwpress/dww26/art3.htm
4 AA.VV., Dall’Autunno del Medio Evo alle Montagne dei Paesi Bassi, Milano 2001, p. 100
5 Ibi, p. 81

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