La posizione del migrante nella società olandese

1.2.3 Motivazioni che portano a tensioni nella società multiculturale olandese

Ci sono numerose ragioni per le quali la presenza di minoranze etniche può dare adito a tensioni e conflitti. Prioritariamente, va rilevato che esse provocano un rapido incremento sul totale della popolazione, e certamente la massiccia ondata di immigrati provenienti dall’Europa dell’Est degli anni recenti ha contribuito in modo rilevante. Per la popolazione autoctona, non è tanto importante il numero totale di immigrati in sé, quanto la percentuale secondo la quale il numero cresce. E’ esattamente questo incremento che può portare alla percezione di quanto la propria cultura sia sotto minaccia. Secondariamente, si riscontra che, dietro il 5-10 % delle minoranze etniche, si nascondono significative differenze dal punto di vista della loro dislocazione urbana. In città di grandi dimensioni come Amsterdam e Rotterdam, queste minoranze etniche rappresentano qualcosa come un terzo della popolazione. Dagli anni Sessanta in poi, i Paesi Bassi hanno assistito ad un esodo dalle città, con un consistente numero di autoctoni che abbandonava il centro storico per la più verde periferia. I nuovi arrivati si insediavano quindi, sempre più spesso, nei centri e, a causa di questa concentrazione, gli autoctoni tendevano a sovrastimare la percentuale delle minoranze etniche. Questa percezione è rinforzata dal fatto che tra i giovani la percentuale degli alloctoni è molto più alta sul totale dei cittadini, a causa dell’invecchiamento della popolazione; inoltre questi giovani trascorrono molto più tempo in giro per le strade. Terzo,bisogna ricordare che i Paesi Bassi sono una società altamente complessa, i cui servizi invadono la vita quotidiana dei suoi cittadini in molti dei più importanti ambiti. Essi non hanno un sistema altamente sviluppato solo nell’educazione e nella sanità, ma possiedono anche un’ampia quantità di provvigioni per quanto riguarda pubblica sicurezza, edilizia, cultura, stato assistenziale e ambiente. Tutto questo rappresenta una causa di potenziali conflitti tra popolazione indigena e nuovi arrivati; laddove tali servizi sono meno sviluppati, essi sarebbero meno portati a provocare delle frizioni con i paesi più carenti di tale organizzazione.

1.2.4 Il dibattito politico

Nel quadro dei fatti riguardanti la società, un posto di rilievo è occupato dalla voce della politica. Di seguito viene presentato un breve excursus degli sviluppi che subirono le recenti opinioni sulla società multiculturale nei Paesi Bassi.

Negli anni Ottanta, il governo olandese intraprese una politica di implementazione, chiamata “politica delle minoranze”, mirata a quella parte di società che comprendeva la popolazione immigrata. Il termine “integrazione” veniva usato raramente; nei primi anni erano molto più comuni termini come “emancipazione” o “lotta allo svantaggio”. Dagli anni Novanta, la nozione di integrazione divenne più centrale, con un approccio focalizzato su una partecipazione piena ed egualitaria, una mutua accettazione e una non discriminazione. Durante i primi anni Novanta, la politica si indirizzò verso il “multiculturalismo”; questo significava che l’intera popolazione avrebbe dovuto sentirsi coinvolta al fine di accettare le differenze intese come parte del tutto. Alla fine degli anni Novanta, molti Olandesi si accorsero di non aver interiorizzato il termine multiculturalismo; seppur convinti di averlo compreso, tuttavia ritenevano che non funzionasse.

Fu il politico liberal-conservatore Bolkestein che mosse per primo il dibattito. Nel 1991 egli affermava che si era diffusa la convinzione di appartenere a un’ampia società multiculturale ben integrata. Di fatto, invece, secondo Bolkestein, era evidente un considerevole livello di apartheid: gli Olandesi e i nuovi arrivati vivevano separatamente, sia nell’ambito familiare, che in quello professionale; inoltre nell’educazione e nella sanità gli stranieri occupavano il posto meno invidiabile della società e diventarono una sorta di sottoclasse socio-culturale. Bolkestein si chiedeva inoltre fino a che punto i tradizionali valori di apertura, giustizia e pluralismo, ai quali l’Olanda aveva dato fino ad allora così tanta importanza, erano compatibili, nella pratica, con le idee di alcune minoranze islamiche.

Nel 2000 fu pubblicato un pungente saggio su uno dei maggiori quotidiani nazionali, l’NRC Handelsblad, il quale riportò il dibattito ad un livello pubblico. Un “dramma multiculturale” era il modo in cui Paul Scheffer12, un commentatore politico dell’ala sinistra, descrisse l’esperienza dei 15 anni precedenti; egli attaccò molti tabù riguardanti diversità e multiculturalismo. L’articolo divenne il fondamento da cui presero avvio una serie di dibattiti politici, risposte, attacchi e contrattacchi. Al centro della discussione c’era il futuro della politica di integrazione in Olanda, nonostante questa non fosse l’intenzione con cui Scheffer aveva scritto il suo saggio.

Le osservazioni di Bolkestein, insieme a quelle di altri commentatori come Herman Vuisije nel 1986 e del poc’anzi citato Scheffer, portarono ad un acceso dibattito, al centro del quale si trovava l’idea di un razzismo latente. Ma questa polemica non poteva nascondere che, di fatto, sussistevano molte differenze. Nel campo dell’educazione se ne aveva forse l’esempio più significativo, in quanto il livello di istruzione è strettamente legato alle prospettive di integrazione sociale. L’Olanda si trovava di fronte all’esistenza di scuole “bianche” e scuole “nere”. Le scuole frequentate principalmente da bambini provenienti da minoranze etniche avevano un livello di istruzione più basso, soprattutto per il problema della lingua. L’Olanda cercò di evitare questa discrepanza tra le “scuole di olandesi” e le “scuole di immigrati”, ma la libertà di scelta da parte dei genitori di lasciar frequentare ai propri figli la scuola che preferivano, portò inevitabilmente alla separazione tra i due gruppi. Nel momento in cui la percentuale di bambini non-indigeni diventava troppo alta, i genitori olandesi trasferivano in massa i loro figli in scuole puramente “bianche”. Questa fu la più evidente forma di apartheid: i figli provenienti da famiglie di minoranze etniche finivano nelle scuole peggiori e nelle classi più deboli. Questo significa che le possibilità di integrazione erano seriamente pregiudicate.

Alle elezioni del 15 maggio 2002, la Lijst Pim Fortuyn13 (LPF), attiva da quattro mesi, vinse ottenendo il 17,9% dei voti. Punto cardine dei suoi obiettivi era la limitazione di nuova immigrazione. Il manifesto del partito, oltre a respingere i nuovi immigrati, suggeriva politiche più efficaci di integrazione tra gli immigrati già presenti sul territorio. Nel 2002, dopo l’uccisione del leader Pim Fortuyn, la coalizione di governo tra CDA14, LPF e VVD15 collassò dopo 87 giorni al potere, soprattutto a causa delle lotte intestine alla Lista Pim Fortuyn. Con le elezioni del 2003, lunghe negoziazioni portarono alla nuova coalizione dei tre partiti: CDA, VVD, D6616. La nuova coalizione decise di mantenere il posto di ministro per l’integrazione e l’immigrazione, con Rita Verdonk (VVD) sotto la sua egida. La parola ‘multiculturale’ sparì dai programmi del nuovo governo di centro-destra, lasciando il passo all’idea che immigrati e non avrebbero raggiunto l’integrazione solo focalizzandosi sull’accettazione e l’interiorizzazione delle norme e i valori propri della comunità olandese.

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12 Politologo e opinionista.
13 Lista Pim Fortuyn
14 Christen Democratisch Appel
15 Volkspartij voor Vrijheid en Democratie
16 Democraat66

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