Hella Haasse – L’amico perduto o Il lago degli spiriti

oeroeg2[Foto: Literatuurmuseum]

L’amico perduto o Il lago degli spiriti (Oeroeg – 1948)

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Copertina Edizione Iperborea

Nel 1947 Hella Haasse viene invitata a partecipare a un concorso di prosa letteraria. Il libro vincitore tra le opere anonime sarebbe stato pubblicato come regalo della Settimana del Libro olandese 1948. Ed è proprio così che va: Hella Haasse scrive un romanzo basato sui suoi ricordi d’infanzia e vince. È il momento del suo debutto letterario, un debutto molto promettente. Inizialmente però il libro viene pubblicato in forma anonima. I nomi dei 19 autori che avevano risposto al bando vengono stampati sull’ultima pagina e i lettori vengono invitati a indovinare chi sia l’autore (o l’autrice). Premio: dei buoni da spendere in libreria. Questo piccolo romanzo diventa il suo everseller, un libro letto da generazioni e generazioni di studenti. L’ispirazione viene direttamente dalla sua esperienza personale delle Indie Olandesi. Hella Haasse infatti è nata a Batavia (attuale Giacarta) e ha trascorso la sua giovinezza a Giava, terra dalla natura tropicale e selvaggia, dove si svolge il romanzo in questione. Nonostante lei non abbia neanche una goccia di sangue giavanese nelle sue vene, è lì che si trovano le sue radici. Nel 1945 scoppia la guerra d’indipendenza indonesiana, conflitto ancora in corso quando la Haasse scrive questo romanzo, mentre si trova in Olanda per motivi di studio. Il senso di lacerazione che le provoca la situazione in Indonesia, che resta per lei la sua patria, è ciò da cui nasce quest’opera. Questo sentimento si intreccia con i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza trascorse nelle Indie e connesse alle problematiche della dominazione coloniale che rivivono attraverso la vicenda dell’amicizia tra il protagonista e Urug. [Foto: copertina dell’edizione Iperborea 2017]

 

Si tratta di una storia di formazione ambientata nelle Indie Olandesi che racconta l’intensa vicenda di un’amicizia impossibile tra due ragazzi, il figlio olandese dell’amministratore di una compagnia di tè a Giava e un ragazzo giavanese, Urug, figlio di uno dei domestici della famiglia. Crescono insieme e sono inseparabili, finché non arriva un momento di svolta inevitabile. Urug si unisce al movimento di liberazione indonesiano: d’ora in poi gli olandesi sono nemici.

L’io narrante ormai adulto inizia il libro con questa frase memorabile: “Urug era il mio amico”. 

Manoscritto di Oeroeg

[Foto: manoscritto di Oeroeg – Literatuurmuseum]

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando ripenso alla mia infanzia e agli anni della giovinezza, inevitabilmente sorge dentro di me l’immagine di Urug, come se la mia memoria fosse una di quelle figurine magiche che compravamo una volta, tre per dieci centesimi: pezzetti di carta giallastra, lucida, coperta di colla, che dovevi grattare con la matita per far apparire il disegno nascosto. Allo stesso modo ritorna a me Urug quando mi tuffo nel passato.”

 

Commento alla lettura

Chiara Corbella

Ho trovato questo piccolo romanzo davvero incredibile, potente. Hella Haasse riesce a trasportare il lettore (o nel mio caso la lettrice) in un mondo di colori, suoni e profumi, attraverso la sua abilità di descrivere i paesaggi e i luoghi. Sono piccole descrizioni, sempre distribuite in modo omogeneo nel racconto e mai lunghe o noiose. Mi ha sorpreso la ricchezza degli aggettivi, attraverso i quali sono riuscita a immaginare Giava, la foresta, il lago, il treno e ogni luogo del racconto e a sentirmi veramente come se fossi lì, in Indonesia. Inoltre ho apprezzato la maestria dell’autrice nel rendere realistica la narrazione del ricordo. Se non sapessi di leggere un romanzo, crederei di leggere i diari di qualcuno che ricorda il passato dopo tanto tempo. Molti dettagli sono presenti, vividi nella memoria dell’io narrante, mentre altri avvenimenti si sono persi completamente, come accade realmente a chiunque cerca di rivivere i propri ricordi. Sempre in modo molto realistico i ricordi del ragazzo olandese sono spesso inscindibilmente legati a odori e profumi. Il linguaggio dell’autrice è inoltre ricco di molti termini in sondanese, lingua diffusa nella parte occidentale dell’isola di Giava, che rendono la narrazione ancora più efficace.

I due protagonisti, l’io narrante e Urug, non sono solo grandi amici: sono come fratelli che hanno condiviso tutta l’infanzia. Infatti il giovane olandese si sente a suo agio con la famiglia di Urug, mentre racconta dei propri genitori come se fossero estranei che lui non riesce a comprendere, addirittura sembra che parlino lingue diverse. L’io narrante non capisce perché lui e Urug debbano essere trattati in modo diverso, perché debbano avere un futuro diverso. Al riguardo ho trovato questo passaggio particolarmente bello: 

“Urug vale meno di noi?” chiesi con impeto. “È diverso?” “Sei matto?” rispose Gerard calmo […] “Chi mai pensa una cosa del genere?” Non senza fatica trasposi in parole le sensazioni di quel pomeriggio. “Una pantera è diversa da una scimmia.”, disse Gerard dopo una pausa, “ma una delle due vale meno dell’altra? Ti sembrerà una domanda idiota, e hai ragione. Considerala altrettanto idiota se applicata alle persone. Essere diversi… è normale. Ognuno è diverso dagli altri. Anch’io sono diverso da te. Ma valere di più o di meno a seconda del colore della pelle o di chi è tuo padre, questa è un’assurdità. Urug è tuo amico, no? E se può essere tuo amico… com’è possibile che valga meno di te o di qualcun altro?” 

Tutte le sfumature di queste sensazioni sono rese benissimo dall’autrice e riescono a farci immergere nella testa del protagonista e a farci vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Il tempo passa velocemente nel racconto e i due amici crescono, cambiano. Questo cambiamento è reso benissimo dal seguente passaggio, che ho apprezzato particolarmente in contrasto con le descrizioni iniziali dei giochi dei bambini:

“La differenza [con il passato] stava nel fatto che ora vedevamo il fiume, il nuotare, lo scintillio dell’acqua con occhi diversi, occhi che non parevano più capaci di guardare al mondo reale come un mondo di meraviglie. Il reame incantato in cui eravamo stati eroi ed esploratori era scomparso. Le grotte oscure non ci apparivano più nient’altro che luoghi all’ombra, […] il territorio di caccia fatto di altipiani rocciosi e impossibili da attraversare era soltanto un piccolo fiume di montagna che gorgogliava nel suo letto di ghiaia e sassi. Granchi e libellule correvano ancora […] sopra e sotto la superficie dell’acqua, ma non eccitavano più la nostra fantasia […] Guardai Urug e nel suo sguardo riconobbi la stessa scoperta. Qualcosa era finito. Non eravamo più bambini.”

Ma la verità è che l’intera storia non ruota intorno all’io narrante, di cui mai veniamo a conoscere il nome, ma a Urug. È la storia di un’amicizia senza equilibrio, in cui più il giovane olandese cerca di restarvi aggrappato, più Urug se ne allontana, per questa sua indifferenza che scopriamo essere tipica del suo carattere.

Arriva infine un momento in cui il fermento della società indonesiana porta Urug ad avvicinarsi sempre di più ad associazioni nazionaliste che respingono tutto ciò che ha a che fare con la colonizzazione, il governo olandese e i bianchi. Il distacco tra il mondo di Urug e quello dell’io narrante diventa assoluto. L’amicizia… perduta. 

Il protagonista va a studiare in Olanda, abbandona per un periodo quel mondo a lui tanto caro che lo rifiuta. Nonostante tutto l’Indonesia resta la sua patria:

“Se è vero che per ognuno esiste un paesaggio dell’anima […] che suscita echi profondi nei più remoti recessi del suo essere, questo paesaggio era – ed è – per me quello delle montagne del Preanger: l’odore amaro degli arbusti di tè, il mormorio di limpidi ruscelli sulle rocce, le ombre azzurre delle nuvole sulla pianura. [Niente riuscì] a diminuire la mia gioia di farvi ritorno. [……] “Sarò per sempre uno straniero nel paese dove sono nato, nella terra da cui non voglio essere sradicato? Lo dirà il tempo.”

Un romanzo meraviglioso che si legge in due giorni, ma che lascia molto a cui pensare. Come scritto da Fulvio Ferrari nella postfazione: “dietro la limpidezza, la cristallina semplicità di queste “memorie” stanno complessi mutamenti storici e culturali, sta la fine di un mondo e il travagliato inizio di un altro. […] I destini dei due giovani sono l’uno il rovescio dell’altro: la storia del ragazzo olandese è la storia di una frattura, di un allontanamento irreparabile da un passato che non si potrà più ricreare; quella di Urug […] è invece la ricerca di un’identità, di un gruppo in cui potersi riconoscere e insieme a cui costruire un futuro.”

Alla fine della storia il ragazzo olandese si rende conto di non aver mai conosciuto davvero Urug, fino a quel momento punto di riferimento della sua intera vita. Il giovane indonesiano resta incomprensibile e oscuro come il lago Telaga Hideung nascosto nella foresta, di cui si vede solo la superficie, uno specchio le cui profondità non sono mai state sondate.

A settant’anni dalla prima edizione del libro, la storia non ha perso nulla della sua attualità: l’unico modo per aprire lo spazio di un vero dialogo tra diversi è cercare di conoscere e comprendere gli altri a fondo, “senza cancellare né manipolare la memoria dell’oppressione”.

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